L’amore per la carta è un sentire comune tra gli uomini dotati di sensibilità. La carta è possibilità di espressione, è lo spazio dove la scrittura trova forma e l’immagine disegno. Oggi come in passato consideriamo la carta un insostituibile supporto per far sì che qualcosa di importante venga trasmesso o tramandato. Eppure questo straordinario strumento è anche sinonimo di fragilità, leggerezza e volatilità.
Il foglio, come depositario dei nostri pensieri, assume nella ripetizione temporale connotati tridimensionali dando vita ad una forma: il libro.
Questo come ogni manufatto è soggetto al tempo e alla volontà degli uomini che da sempre hanno cercato di arricchire decorando ciò a cui essi stessi attribuivano importanza.
Nel tempo si sono trovate soluzioni tecniche finalizzate alla conservazione di queste preziose testimonianze. Fra queste, la doratura del dorso è forse la più esplicativa.
Essa infatti svolgeva la duplice funzione di proteggere questo delicato supporto dagli agenti esterni, nobilitandolo grazie alla bellezza propria dell’oro.
Nel tempo l’innovazione tecnologica e le possibilità proprie dei nuovi materiali hanno concesso al cultore del bello di liberarsi da vincoli tecnici. Questa conquista ha permesso all’artigiano di evolvere quelle nobili, antiche tecniche trovando soluzioni più idonee alla valorizzazione dei nostri documenti.
La marmorizzazione risulta l’espressione più alta di questa nuova volontà. Essa infatti non è solo decorazione ma è opera unica.
Quest’arte risale a tempi antichi ma ha avuto la capacità di non perdere il proprio valore perché è stata in grado di interpretare i cambiamenti e la necessità e il desiderio innato che l’uomo ha di possedere e custodire il bello.
La marmorizzazione predispone lo spettatore a un’esperienza sensoriale coinvolgente e appagante.
L’acqua è resa supporto ove colori in sospensione rispondono educati alla mano esperta dell’artigiano e rifiutano di sottomettersi alla loro natura mutevole e momentanea, aderendo così alla carta e consacrandosi al tempo.
Il bello come viatico dell’utile.
Perché l’artigiano ama la mano.